Partecipanti: Giorgio Volpe - Università di Bologna
In un senso forse banale ma tutt’altro che marginale nelle nostre pratiche linguistiche, la verità (al singolare) è la proprietà che attribuiamo o neghiamo alle cose che pensiamo e che diciamo – le proposizioni – quando affermiamo che sono vere oppure false. E le verità (al plurale) non sono altro che le proposizioni che possiedono tale proprietà: le proposizioni che sono vere. Le verità delle scienze naturali, della matematica, della morale e dell’estetica (per fare soltanto qualche esempio) sembrano tuttavia avere così poco in comune da far sorgere il dubbio che non vi sia, in realtà, un’unica proprietà da tutte condivisa.
Riprendendo una proposta di Crispin Wright, filosofi come Michael Lynch sono giunti a ipotizzare che le verità di ambiti di pensiero e di discorso differenti si distinguano le une dalle altre non soltanto per i rispettivi oggetti, ma per il “modo” stesso in cui sono vere.
L’idea che le proposizioni vere di discipline così diverse fra loro come la chimica e la morale (oppure la matematica e l’estetica) siano vere in virtù del possesso di proprietà differenti è oggi considerata con interesse da un numero crescente di filosofi, e il tentativo di conferire al “pluralismo aletico” un’articolazione rigorosa sotto il profilo logico e metafisico ha portato alla formulazione di varie versioni della teoria.
Nel dibattito attuale non mancano, tuttavia, i difensori di una concezione più tradizionalmente monistica della verità. Alcuni di essi – il più noto è probabilmente Paul Horwich – contrappongono al pluralismo aletico una visione deflazionistica della verità, mentre autori come Simon Blackburn e Julian Dodd impiegano in chiave antipluralista l’idea espressivista che non tutti i tipi di pensiero e di discorso siano ugualmente suscettibili di essere veri (o falsi).
Scopo di questo intervento è delineare schematicamente una strategia che consenta di difendere una forma interessante di monismo aletico senza evocare né motivi deflazionistici né motivi espressivisti. Tale strategia, che fa appello alla necessità di distinguere chiaramente la questione della natura della verità dalle questioni collegate della teoria del contenuto e della rappresentazione, mette a frutto le risorse della concezione “congiuntivo-quantificazionale” della verità.