Partecipanti: Marco Solaroli
Negli ultimi quindici anni il campo professionale del giornalismo visivo – in particolare fotografico – è stato investito da mutamenti profondamente destabilizzanti, causati da fattori di tipo tecnologico, sociale ed economico. La crescente diffusione di pratiche di produzione e condivisione di immagini giornalisticamente rilevanti da parte di non professionisti (ad es. comuni cittadini) e la possibilità di accesso immediato ad ampi repertori di informazione visiva online da parte delle redazioni, insieme agli effetti della crisi finanziaria globale sul mercato editoriale, hanno fortemente ridotto la struttura delle opportunità per i fotogiornalisti professionisti.
Tuttavia, nonostante la narrazione – dominante in letteratura – della “crisi” professionale, nello stesso arco temporale un numero ristretto ma sempre più influente di fotografi internazionali ha interpretato il mutamento digitale in atto come stimolo e risorsa, sviluppando nuove pratiche professionali e nuovi stili estetici, attraverso cui articolare strategie di posizionamento, distinzione autoriale e ridefinizione di gerarchie e confini simbolici. Così facendo fotografi provenienti da paesi storicamente periferici nel campo fotogiornalistico globale (come l’Italia) hanno gradualmente acquisito notevole visibilità e prestigio internazionale, diventando membri delle più famose agenzie fotografiche globali, lavorando per le più influenti e diffuse testate occidentali, vincendo ripetutamente prestigiosi premi professionali, e producendo immagini che occupano un ruolo di rilievo nella cultura visiva contemporanea.
Tale processo di innovazione e consacrazione può essere interpretato come un prisma attraverso cui riflettere criticamente su alcune delle principali tendenze in atto nei processi di produzione, circolazione e valorizzazione pubblica della fotografia giornalistica contemporanea. Sviluppando un impianto analitico-concettuale influenzato dalla teoria del campo culturale di Pierre Bourdieu, e prendendo in esame una serie di casi esemplari di fotografie giornalistiche, la presentazione ricostruirà tale processo focalizzandosi in particolare su tre principali aspetti: (i) l’autonomia e i confini sempre più sfumati del campo fotogiornalistico, in particolare nei confronti del campo artistico; (ii) l’implementazione delle tecnologie digitali, in particolare di post-produzione e manipolazione estetica delle immagini, in relazione a irrisolte tensioni epistemologiche inerenti al valore professionale dell’“oggettività” giornalistico-visiva e al contratto di fiducia con lo spettatore; (iii) infine, il grado di auto-riflessività istituzionale del campo professionale, in relazione al ruolo delle principali agenzie di consacrazione, come il World Press Photo (organizzazione egemone nel campo fotogiornalistico globale, che ogni anno attribuisce premi alle produzioni, e ai produttori, “migliori”, contribuendo alla costruzione sociale degli standard professionali).
Da un punto di vista metodologico, la ricerca verte su una analisi qualitativa del contenuto di due archivi visuali (il primo di rappresentazioni fotogiornalistiche di eventi di rilevanza globale su dieci settimanali internazionali tra il 1980 e il 2015; il secondo dell’intero insieme di premi attributi dal World Press Photo tra il 1955 e il 2015); quarantacinque interviste in profondità a fotogiornalisti e photo-editor internazionali, direttori di agenzie foto-giornalistiche globali, membri di giurie di premi fotografici, direttori di laboratori di post-produzione digitale; e sessioni etnografiche presso redazioni giornalistiche, gallerie fotografiche, e festival di fotogiornalismo in Italia, Francia, e Stati Uniti.