Partecipanti: Diego Donna - FILCOM, Mariafranca Spallanzani - FILCOM
Abstract
Mariafranca Spallanzani: "Il dualismo mente-corpo è davvero il sistema di Descartes?"
La storia della filosofia di Descartes è esemplare della complessità e della problematicità della disciplina che il filosofo del metodo ha sempre messo alla prova fin dalla sua prima uscita in pubblico “larvatus”. Innumerevoli sono, infatti, le variazioni intorno alla sua immagine tra dottrina e vita, storia e leggenda; innumerevoli le interpretazioni del suo pensiero scritto nella temporalità di una ricerca continua e, insieme, concepito nell’atemporalità della ricerca della verità. Come se Descartes fosse diventato, con il tempo, un vero e proprio oggetto filosofico su cui testare la filosofia e la sua storia nei suoi metodi, nei generi letterari della sua scrittura e nei modi della sua comunicazione, non meno che nelle sue relazioni con le altre discipline: insomma, nelle sue tradizioni, i suoi concetti e la sua attualità.
Un caso significativo è offerto dal problema del rapporto anima-corpo. Discusso fin dall’inizio dai lettori di Descartes, da Regius a Elisabetta ad Arnauld, ripreso nel Settecento e interpretato in senso materialistico da La Mettrie e Diderot, il tema è vivo anche ora, attuale come esso è nella filosofia che interroga Descartes sullo statuto del pensiero, della mente, della coscienza e dell’identità personale, ma anche nelle scienze cognitive e nella neurofisiologia che manifestano un grande interesse per il così detto “dualismo cartesiano”, chiamato a scrivere uno dei primi capitoli delle neuroscienze contemporanee e a offrire uno dei primi modelli di comprensione – o di incomprensione? – dei rapporti anima-corpo e dei fatti del linguaggio.
Attraverso una lettura di alcuni testi in cui Descartes scrive dell’uomo (Regulæ, L’Homme, La Dioptrique, Meditationes de Prima Philosophia, Passions de l’âme), si cercherà di esaminare il “ben fondato” delle interpretazioni della sua filosofia come filosofia del dualismo mente-corpo.
Diego Donna: "Una difficile libertà. Virtù cartesiana e virtù spinoziana"
La vexata quæstio del dualismo mente-corpo costituisce il centro della contrapposizione fra Descartes e Spinoza. È Spinoza stesso a lanciare la sfida, contestando, com’è noto, nella prefazione alla quinta parte dell’Ethica, l’ipotesi fisiologica della ghiandola pineale, ossia la parte del cervello (pars cerebri) che avrebbe dovuto garantire, secondo Descartes, un effetto di comunicazione fra piano psichico e piano materiale. Dualismo cartesiano versus monismo spinoziano: la polemica, che agita già il dibattito di fine Seicento, ha contributo a erigere steccati e battaglie culturali che risuonano ancora oggi ben oltre i confini della storia della filosofia – si pensi agli studi di filosofia della mente, indaffarati a segnalare i presunti “errori” di Cartesio.
La concezione cartesiana e spinoziana di virtù è un utile caso di studio per valutare l’efficacia, oltre che la correttezza, di tali schemi interpretativi. Per Descartes, come vedremo, la virtù più alta consiste nella generosità, la quale dipende da un amore razionale di sé, che si dà sullo sfondo dell’unità fra mente e corpo tratteggiata nella Meditatio Sexta e discussa nei carteggi degli anni quaranta fino alle Passions de l’âme. Così, la distinzione fra mente e corpo, necessaria in sede metafisica per fondare una scienza dei corpi chiara e distinta, è la controparte di una concezione unitaria dell’uomo. Diverso è il caso della virtù spinoziana, la quale dipende dall’«essenza» dei modi che compongono la sostanza infinita, ossia la spinta a conservare il proprio essere. Considerato come la «causa prossima» del nostro agire, lo sforzo di autoconservazione spiega ciò che siamo; ma la maggior parte dei nostri stati è il frutto delle reazioni a cause esterne. Si tratterà allora di comprendere, partendo dalla definizione di conatus, che cosa effettivamente spieghi («essenza») o produca («causa») la conversione della passività in attività.