Nel libro VIII della Historia animalium, Aristotele attribuisce agli animali non umani tanto la capacità di provare emozioni quanto i tratti caratteriali virtuosi e viziosi a esse connessi. Secondo le interpretazioni cognitiviste della teoria aristotelica delle emozioni, gli animali non umani non possono provare emozioni perché sono incapaci di elaborare credenze: di conseguenza questa attribuzione, da parte di Aristotele, deve essere intesa in senso metaforico. Respingo questo approccio e sostengo che l’indagine aristotelica della base fisica delle emozioni e dei tipi di carattere nel De partibus animalium, insieme alle numerose illustrazioni del principio di continuità naturale, confortano l’idea che i medesimi tratti del carattere e disposizioni affettive esistono a diversi livelli di sviluppo in animali diversi.